LA RINASCITA DI MARCO. DUE POLMONI NUOVI PER STRONCARE LA FIBROSI CISTICA

Per Marco, Capodanno è a giugno. Il 4, per la precisione, il giorno in cui, nel 2013, ha ricevuto due polmoni nuovi e per lui è iniziata un’altra vita. “Più che un compleanno, segna l’inizio di una nuova fase”. Dopo il trapianto che ha messo a tacere la fibrosi cistica, ha riscoperto desideri e possibilità soffocati dalla progressiva avanzata della malattia. Quest’anno la ricorrenza è tonda: Marco, che di anni ne ha quasi trentotto, vive a Milano ed è responsabile del reparto digital di una società di comunicazione, festeggerà il primo lustro – “sempre low cost, come mia abitudine, sono molto scaramantico” – insieme alla moglie Nina, che ha sposato due anni fa – “e nessuno, prima, avrebbe scommesso sul fatto che io prendessi moglie. Neanche io, in effetti”.

Prima, la fibrosi cistica gli accorciava il respiro e i giorni. Dopo il trapianto, le cose sono cambiate e molto probabilmente – anche se lui non lo dice espressamente – dalle riflessioni e dalle consapevolezze arrivate respirando la vita nuova sarà scaturita anche la decisione di fare da testimonial alla Lega Fibrosi cistica per la campagna di comunicazione sociale e raccolta fondi sulla donazione degli organi. Entrambe le iniziative partono oggi: la sensibilizzazione è rivolta soprattutto – non a caso l’hashtag è #a18annipuoi – ai giovani maggiorenni, con l’obiettivo di informarli del fatto che, dal compimento dei diciotto anni, possono esprimere il loro consenso alla donazione degli organi contestualmente al rilascio o al rinnovo della carta di identità. Sempre da oggi – e fino al 30 aprile – sarà attivo il numero solidale 45587, attraverso il quale si può aiutare la LIFC a donare nuova vita a chi è in attesa di trapianto di polmone grazie alla fornitura di un Organ Care System, “un macchinario che, una volta prelevato l’organo dal donatore, consente di mantenerlo per un lungo periodo in una condizione normotermica e di raggiungere il Centro dove verrà impiantato, limitando i danni”, spiega Lorenzo Rosso, professore associato di chirurgia toracica all’Università degli Studi di Milano.

Attualmente, come risulta dai dati del Centro nazionale Trapianti aggiornati al 31 dicembre 2017, oltre 350 persone sono in lista di attesa per il trapianto di polmone, l’unica possibilità nei casi di grave insufficienza respiratoria. I tempi di permanenza in lista sono in media di due anni e mezzo e l’8,6 per cento dei pazienti purtroppo non arriva al trapianto.

Marco ce l’ha fatta e ha deciso di raccontare la sua esperienza, prima e dopo l’intervento, “principalmente per due motivi – sottolinea – prima di tutto perché le storie di chi ha vissuto una determinata situazione possono essere utili a chi ne sta vivendo una simile, non tanto per ricavarne informazioni, che vanno chieste sempre ai medici, quanto per trarne supporto e modelli psicologici di riferimento. E poi le storie positive possono aiutare ad assumere una decisione ragionata e più consapevole chi sta valutando se donare o meno”. Scelta tutt’altro che opzionale, “il gesto che ha il gap maggiore tra l’assunzione della decisione, la facilità della realizzazione e l’effetto che ne deriva”, scandisce Marco. Poi consegna il suo rammarico “per la corsa della tecnologia, a ritmi sempre più sostenuti, rallentata dalla indisponibilità degli organi” e aggiunge: “Bisogna ricordarsi che la donazione arriva quando la vita è finita. Lo so, è un ragionamento un po’ laico, ma il tema, spesso temuto e poco discusso sia nelle famiglie che dalla stesse Istituzioni, va affrontato. La decisione di donare gli organi incide sull’esistenza”.

E la cambia. Oltre il muro del tempo, oltre le barriere delle statistiche. E qui Marco, che è laureato in filosofia – “e ammetto che mi ha molto aiutato”, sorride – si rivolge direttamente ai trapiantati, rifacendosi ancora una volta alla sua esperienza. “Non lasciatevi condizionare dalle previsioni, dalle cifre, il post trapianto non deve essere vissuto come un limite. Nei casi di fibrosi cistica, il livello di miglioramento tra il prima e il dopo è incomparabile e dunque tutto il resto, compresi i momenti di caduta e le inevitabili frustrazioni che possono derivarne, va relativizzato”.

La sua fuga dalle statistiche è cominciata con la diagnosi, arrivata nella Genova dei primi anni ’80, “quando ero bambino grazie all’intuizione di un pediatra che ci indirizzò verso un luminare che stava studiando questa patologia allora ancora poco conosciuta nel nostro Paese. A mia madre fu detto che, se fosse andato tutto bene, non avrei superato gli undici anni”. E invece Marco, pure inframmezzata da ricoveri in ospedale e terapie, riesce a vivere un’adolescenza normale. I primi segnali di quella che lui definisce “compromissione” cominciano a manifestarsi dopo i sedici anni: una polmonite, terapie più lunghe e ripetute. Marco non si arrende, si laurea e dopo qualche anno, da Genova, si trasferisce a Milano per un master. Il respiro si fa via via più corto, progressivamente comincia “a mollare. Abbandonai lo sci, non riuscivo a reggere i ritmi lavorativi”.

L’affanno costante richiede ricoveri più frequenti, con conseguenze dirette anche nella vita lavorativa. “Non volevo prendere licenze continue per andare in ospedale, mi resi conto di avere difficoltà a rendere conto dei miei tempi in azienda. E allora per poter gestire meglio la situazione, mi misi in proprio”. Ma la situazione, in un breve volgere di tempo, precipita: i polmoni sono compromessi, anche camminare in pianura è difficile. Marco viene attaccato a un respiratore artificiale e subito inserito in lista prioritaria d’urgenza. Quando viene ricoverato in rianimazione, capisce che ha i giorni contati. Il corpo sul limite esatto tra la vita e la morte, in quel momento realizza che l’unica salvezza può arrivare dal trapianto. “Dentro di me scattò il countdown, sapevo di avere le ore contate. Eppure – sospira Marco – mi sentivo in colpa perché dietro quella possibilità implicava la morte di un’altra persona, il dolore di quanti l’avevano amata”. Quasi un senso di colpa, una sorta di trauma, trarre gioia della morte di qualcun altro, con cui tutti i trapiantati devono fare i conti. Marco ha seguito il percorso psicologico standard – un ciclo di incontri molto brevi – puntando molto sul sostegno di familiari e amici. Il respiro allungato ha avuto conseguenze anche sul suo carattere, sulle sue scelte esistenziali. Si è innamorato di Nina, l’ha sposata “e ho altri progetti anche sul piano familiare”. Un figlio? “Sì, anche se tra gli effetti della fibrosi cistica c’è l’infertilità. Ma nonostante questo ci stiamo lavorando, di certo non mi arrendo”.

La fuga di Marco continua, vivificata dall’impegno per sostenere la campagna e la raccolta fondi promosse dalla LIFC. “Con il consenso per la donazione degli organi ciascuno di noi può donare vita. Perché ogni vita salvata è una vita che rinasce”, ribadisce.

In sottofondo la musica, blues soprattutto – “che mi accompagna da sempre e suona come il mio ritorno alle origini” – gli occhi negli occhi della sua Nina, guardando insieme nella stessa direzione. Al prossimo “Capodanno”, a quelli che verranno.

A cura di Luciana Matarese, giornalista, Huffpost

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