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Trenta anni dall’approvazione della Legge 104, l’avvio di una nuova concezione della persona con disabilità

Sono trascorsi 30 anni dalla promulgazione della Legge 104. Era il lontano 5 febbraio del 1992 quando l’Italia decise di segnare un’inversione di tendenza rispetto al passato e aprire un nuovo capitolo per l’effettiva integrazione delle persone disabili. Sul piano culturale la legge, infatti, esprime finalmente una concezione “sociale” della persona con handicap, al passo con i tempi e accoglie sostanzialmente le definizioni proposte dall’Organizzazione Mondiale della Sanità che, nel 1980, ha elaborato una classificazione della disabilità e della condizione di handicap corretta e universalmente condivisa, fino ad allora mai pensata.

Il suo scopo, in estrema sintesi, è la rimozione delle cause invalidanti, la promozione dell’autonomia e della socializzazione e l’integrazione; per la prima volta sul piano legislativo si “pone al centro la persona nella sua globalità”, indipendentemente dallo stato e dal tipo di handicap in cui si trova, con un approccio innovativo che considera il disabile nel suo sviluppo unitario, dalla nascita alla presenza in famiglia, nella scuola, nel lavoro e nel tempo libero. È il passaggio concreto da uno Stato assistenziale a uno Stato sociale, in quanto va ad interessare le diverse amministrazioni centrali e periferiche dello Stato e ad offrire nuovi spazi e opportunità sia all’associazionismo che al volontariato, sia alle cooperative che al privato sociale. In sostanza, nel 1992 la legge ridefinisce e regolamenta, a livello nazionale, l’insieme delle norme fino ad allora vigenti, cercando di fare ordine per tutelare la dignità della persona con handicap.

Oltre a garantire questo, la legge insiste sulla necessità di rimuovere le situazioni invalidanti e di predisporre interventi che evitino processi di emarginazione, questo grazie anche all’uso di una terminologia più adatta, che superi la vecchia concezione statica della disabilità e sia utile ai fini degli interventi riabilitativi, educativi e di integrazione sociale.

La sua completa applicazione ancora oggi incontra difficoltà di rilievo, anche se in questi anni è stata rivista, aggiornata e dibattuta più volte. Possiamo certamente affermare che per molte persone colpite da una minorazione, e quindi anche per le persone affette da fibrosi cistica, ha garantito una qualità di vita differente. Basti solo pensare che è proprio nella Legge 104 che la fibrosi cistica appare laddove si parla di “prevenzione e diagnosi prenatale e precoce”, con la disposizione di accertare, nel periodo neonatale, la diagnosi e adoperarsi per l’individuazione e il trattamento tempestivo della malattia, come previsto dalla L. 833/78. E poi ancora i diritti in ambito scolastico, le tutele in ambito lavorativo, il supporto alle famiglie, il diritto all’integrazione e a godere del tempo libero: uno spettro di attività ampio e completo che, se realizzato nella sua interezza, porta alla completa realizzazione e integrazione e inclusione della persona con handicap nella società; il tutto poi ripreso e previsto nella Legge 548, la legge a tutela della fibrosi cistica, emanata nel 1993.

Nella Legge 104 ritroviamo la perfetta realizzazione del principio delle pari opportunità, inclusività e centralità della persona, come previsto dalla Carta Costituzionale: ogni cittadino è uguale a prescindere dal suo stato di salute ed è compito delle istituzioni rimuovere qualsiasi ostacolo che si oppone alla piena realizzazione della persona sotto il profilo scolastico, lavorativo e sociale. Ogni forma di discriminazione e di esclusione non è accettabile agli occhi del legislatore.

Infine, è bene ricordare che, seppur negli anni abbia incontrato molto spesso difficoltà di applicazione, sia a causa della non obbligatorietà delle sue disposizioni che alla disomogenea produzione di norme e disposizioni regionali in riferimento alle deleghe attribuite alle pubbliche amministrazioni locali, la legge è riuscita comunque a rispondere ai bisogni di assistenza e inserimento, e in parte anche di integrazione. Anche se, va sottolineato, su questo punto c’è ancora tanta strada da fare.